Sono Lorenzo,

ho 27 anni ed ho la Sindrome di Poland che, su di me, ha deciso di manifestarsi con assenza del muscolo grande pettorale destro e brachidattilia e sindattilia omolaterali.

La mia storia inizia il 17 maggio 1987, il giorno della mia nascita all’ospedale di Ravenna, che corrisponde anche al momento della diagnosi. Questa contemporaneità, a posteriori, è sicuramente stata una gran fortuna; infatti, il poter dare fin da subito un nome alla “disgrazia” che era capitata, credo abbia aiutato molto i miei genitori, e più tardi ha aiutato certamente anche me, evitandoci una buona parte della paura dell’ignoto a cui la mente umana, per natura, non è abituata.

Della mia infanzia onestamente non ho tanti ricordi legati alla Poland e sono sicuro che questo periodo sia stato molto più difficile per i miei genitori che comunque hanno sempre gestito la cosa al meglio. In particolare mia mamma Daniela, che (in quanto donna) sono certo avesse dentro di se un marasma di sentimenti negativi, che possiamo chiamare sensi di colpa, frustrazione, o come preferite, non ha mai fatto trapelare niente di ciò in mia presenza e mi ha sempre dato la forza e la tranquillità per affrontare ogni situazione. Solo una volta, che io ricordi, ha avuto un piccolo e legittimo cedimento. Avevo circa 6-7 anni e dormivo nel lettone con i miei (questo ovviamente non aveva a che fare con la Poland ma col fatto che ero un mammone) e prima di addormentarmi mi ricordo che chiesi: “mamma, ma la mia manina, quando divento grande, diventerà grande anche lei come l’altra?”. Quella fu la prima e unica volta che vidi mia mamma piangere in mia presenza, e fu allora che realizzai che anche e soprattutto per lei non doveva essere facile.
Per il resto i miei genitori mi hanno sempre fatto sentire SPECIALE e mai diverso e questo è uno dei motivi per cui io tutto sommato ho sempre vissuto bene le mia diversità fisica.


Nella mia infanzia, a parte la speranza che col tempo la mia mano destra potesse crescere e diventare come l’altra, ho comunque sempre vissuto il mio problema fisico con la spensieratezza di cui solo i bambini sono capaci, senza mai farmene un grosso problema. Solo adesso, guardandomi indietro, mi rendo conto di quanto, soprattutto in quel periodo, sia stato importante avere accanto persone (familiari ed amici) che mi hanno insegnato a crescere insieme alla sindrome, senza mai farmi sentire diverso.

I problemi, ovviamente, sono un po’ aumentati in adolescenza, per diversi motivi. Innanzitutto l’adolescenza è il periodo della vita in cui, per gli altri (persone “non diverse”), l’aspetto fisico spesso conta più di tutto il resto. Poi, per quanto mi riguarda, soprattutto nei primi anni di liceo mi sono chiuso un po’ in me stesso, e l’argomento Sindrome di Poland è diventato un po’ un tabù, sia con i miei genitori che con me stesso. Ho quindi iniziato a cercare di nascondere il problema agli altri, quindi mano destra sempre in tasca e maglietta sempre su, anche in spiaggia con 40 gradi (che adesso mi viene da sudare solo a pensarci). Nonostante ciò non ho mai avuto problemi di relazione con gli altri ragazzi. Questo in parte è dovuto al fatto che, un po’ per carattere e un po’ grazie agli insegnamenti ricevuti da bambino (di cui parlavo prima), non mi è mai interessato più di tanto il parere di chi mi giudicasse solo dall’aspetto fisico e dall’altra parte ho avuto la fortuna di incontrare ragazzi che la pensavano come me e per cui il mio difetto fisico non era assolutamente un problema. Ovviamente, neanche a dirlo, questi ragazzi sono i miei amici “storici”, persone su cui anche oggi posso contare e per cui anche io sarò sempre disponibile. Nel rapportarmi con gli altri, in questo periodo, mi ha aiutato molto lo sport, anche perchè dopo ogni allenamento ero costretto a fare la doccia insieme ai miei compagni di squadra (visto che non potevo tornare a casa sporco di fango se no mia mamma mi avrebbe ammazzato), e, non potendo fare la doccia con la maglietta, lo spogliatoio era l’unico luogo in cui mostravo agli altri i miei difetti. E in quell’ambiente mi sono sempre trovato a mio agio nel farlo.
In adolescenza sono iniziati anche i primi contatti con l’altro sesso. Di questo voglio dire solo una cosa: le ragazze per cui ho provato qualcosa di importante sono state due e sono state le uniche due che mi hanno chiesto di parlargli della mia Sindrome di Poland. La prima ragazza (in ordine di tempo ma non di importanza) mi ha detto una frase che non dimenticherò mai, e cioè: “non sei tu che sei diverso, ma sono gli altri che sono tutti uguali, che noia!!”. L’altra ragazza, Alessia, è diventata la donna della mia vita, stiamo insieme da quasi 9 anni e spero presto di costruire una famiglia con lei.

La storia mia e della mia sindrome di Poland è stata totalmente modificata da due eventi.
Il primo è stato la fondazione dell’AISP. Avevo 16 anni quando mia madre mi disse che ci sarebbe stato, a Genova, il primo incontro di un’associazione formata da persone che, come me, avevano la Sindrome di Poland, e dai loro familiari. Ricordo bene la felicità che mi pervase nello scoprire che non ero l’unico ad avere questa Sindrome, io che non avevo mai conosciuto nessuno come me. Partimmo da Ravenna alle 4 di mattina io, mia madre e mio fratello. Del viaggio non ricordo niente perchè ero davvero eccitato e al mio arrivo le mie aspettative furono ripagate perchè mi resi conto che effettivamente non ero da solo!! Non ricordo una parola di quello che è stato detto a quell’incontro perchè ero troppo occupato a guardare le mani di tutti i partecipanti ed ognuna di quelle mani, diverse dalla norma, ma per me così familiari, aggiungeva una tacchetta di forza alla mia autostima. Forse questo è un ragionamento un po’ egoistico ma finalmente mi sono sentito uno tra tanti ed è stato molto sollevante.
Il secondo evento è stato l’intervento chirurgico di trasposizione del gran dorsale che fu eseguito a 18 anni, all’ospedale di Pisa, dal Dott. Gatti . Se gli interventi che avevo fatto alla mano all’età di 3 e 5 anni quasi non me li ricordo (se non per la paura della sala operatoria), di quest’ultimo ricordo tutto per filo e per segno: l’ansia e al tempo stesso l’eccitazione dell’attesa, i 10 giorni passati in ospedale durante i quali non vedevo l’ora mi togliessero le fasciature per vedere il risultato, e la gioia finale nel capire che finalmente sarei potuto andare in spiaggia senza maglietta. Per mia fortuna nell’operazione e nel decorso post-operatorio non ho avuto nessun problema, ma comunque l’avrei rifatto altre cento volte se ce ne fosse stato bisogno.

Dall’intervento ho infatti iniziato a prendere coscienza del fatto che la mia Sindrome di Poland, per fortuna, non era altro che un “banale” problema estetico come tanti altri. Adesso, a 27 anni, mi scoccia molto di più perdere i capelli piuttosto che avere una mano piccola. Non nego che mi capiti tuttora a volte di pensare se la mia vita senza Sindrome di Poland sarebbe stata diversa e di chiedermi perchè sia capitato proprio a me, ma nonostante ciò mi ritengo comunque fortunato perchè col mio lavoro (sono medico) ho visto gente molto ma molto più sfortunata di me che pagherebbe per avere “solo” una mano più piccola dell’altra.

Concludendo (visto che credo di essermi dilungato abbastanza) nonostante qualche momento di sconforto o rabbia, la Sindrome di Poland è ormai diventata un tratto imprescindibile della mia persona e credo che spesso mi abbia anche aiutato ad essere una persona migliore, capace di discriminare le cose veramente importanti nella vita senza lasciare che problemi futili mi abbattano. Per questo devo ringraziare i miei Familiari, Alessia ed i miei Amici; spero, sia come medico che come volontario AISP, di riuscire a dare, a chiunque ne abbia bisogno, quello che loro hanno saputo dare a me.