Sono Daniela,
la nostra esperienza è iniziata Andrea quando è nato il nostro secondogenito. Lo shock è stato enorme, perché durante la gravidanza nessuno ci aveva mai detto che sarebbe nato senza le dita della mano destra. Al momento dell’ ecografia morfologica è stata forse visualizzata due volte la mano sinistra, o forse la mano destra è stata ritenuta normale e chiusa a pugno.
I giorni successivi al parto sono stati tremendi, stavamo in mezzo a tutti gli altri genitori felicissimi e non riuscivamo ad esserlo altrettanto: io tentavo di tenere la manica della tutina del bimbo sulla mano, preda di un senso di colpa che razionalmente non riuscivo a giustificare: in ospedale non avevano alcuna spiegazione, mi dissero che forse avevo preso un farmaco in gravidanza, magari quando non sapevo ancora di essere incinta, ma io ero certissima di non averlo fatto, avevo consultato il mio medico persino prima di prendere il germe di grano! Ho pianto così tanto in quei giorni e in quelli successivi a casa, non riuscivo a smettere, se non quando mi
sforzavo di pensare ad altro o di non farmi vedere dall’ altro mio figlio; ma bastava che mi trovassi sola a riflettere un momento e non vedevo altro che tutti i problemi che avremmo dovuto affrontare. Mio padre era quello che l’ aveva presa peggio di tutti, non riusciva nemmeno a prenderlo in braccio. Mio marito non piangeva mai e quando gli dicevo che sfogarsi gli avrebbe fatto bene mi diceva che non capiva perché bisognasse per forza piangere e lasciarsi andare, sebbene fosse distrutto anche lui, e mi ripeteva che bisognava essere forti, soprattutto per il piccolo e che da noi avrebbe dipeso la sua serenità.
Nel frattempo avevamo fatto alcuni accertamenti (radiografie ed ecografie) per assicurarci che non ci fossero altre patologie connesse e siamo andati dal primo specialista che ci avevano indicato, un ortopedico dell’ ospedale locale: l’ incontro è stato tremendo, ci ha detto che nella sua esperienza spessissimo questi casi capitavano a madri che si erano sottoposte all’ amniocentesi, così il mio senso di colpa è diventato un macigno. Comunque ci ha indirizzato in un altro Ospedale , al Centro di Chirurgia della Mano, dove con nostro grande stupore, il medico ci ha chiesto di spogliare Andrea per visitarlo; io stavo per dirgli che non serviva, la mano si vedeva benissimo lo stesso, ma lui ha iniziato ad esaminare il torace e ci ha fatto la diagnosi, spiegandoci che c’ era anche un’ atrasia del gran pettorale destro, una questione soltanto estetica, ma che sarebbe diventata sempre più visibile col passare del tempo (Andrea aveva 10 giorni). Siamo rimasti d’ accordo di rivederci un anno dopo (fra poco più di un mese), per valutare gli esami eco-radiografici che rifaremo per controllo e parlare di eventuali possibili soluzioni (quasi sicuramente protesi da mettere fra alcuni anni).
L’ incontro con questo medico è stato molto positivo per me, prima di tutto perché mi ha sollevato dal senso di colpa legato alla paura di aver fatto qualcosa, seppure in buona fede, che potesse aver causato o favorito l’ insorgere del problema; in secondo luogo perché ci ha fatto un quadro chiaro della situazione, puntando decisamente sul fatto che gli altri pazienti in queste condizioni fanno una vita più che normale e che in gran parte dei casi non vogliono nemmeno mettere protesi, si abituano ad usare l’ arto così com’ è e vivono tranquillamente.. Comunque non ci siamo fermati e siamo andati anche in un ospedale al nord: anche lui ci ha detto che era presto per valutare il da farsi (Andrea aveva 35 giorni) e che ne avremmo riparlato all’ anno di età. Anche questo medico è stato molto umano, ha affrontato la cosa dal punto di vista psicologico, è partito dicendo: “Chiariamo bene una cosa: non è che con un eventuale intervento gli salveremmo la vita. Andrea sta benissimo così. Adesso so che i medici avevano ragione a proposito del fare una vita completamente normale, perché l’ ho provato sulla mia pelle in quasi un anno: Andrea non cerca aiuto per fare le cose che non riesce a fare con la mano destra, ma si arrangia aiutandosi con la sinistra e non vuole che lo si soccorra; d’ altronde per lui è normale, è nato così e impara a fare tutto così. Inoltre per noi vedere i progressi che fa giorno per giorno, e non solo dal punto di vista motorio, la sua serenità e l’ allegria che trasmette è la più grande iniezione di ottimismo che potremmo ricevere: credevamo che avrebbe avuto qualche problema a gattonare e a camminare aggrappandosi ai mobili o ad afferrare e ad usare certi giocattoli, invece ci stupiamo tutte le volte di come lo faccia in modo naturale.
Questo rafforza la nostra convinzione che se non saremo noi a creargli apprensioni inutili, potrà vivere serenamente una vita che comunque gli riserverà qualche complicazione, più che altro psicologica, nel rapporto con gli altri.
In questo momento mi accorgo che sono io a mettere in imbarazzo chi ha il coraggio di chiedere che cosa gli sia successo, perché la mia risposta è Perché? Dove?, non mi rendo conto che parlano della mano, per me è tutto a posto.
Ad una cosa non mi rassegno però: il fatto che abbiamo dovuto aspettare dieci giorni (dieci giorni di inferno, e ci è andata ancora bene) e andare in ospedale per sapere il nome della patologia, quando avremmo potuto saperlo in sede di ecografia al sesto mese di gravidanza. Io non avrei certo interrotto la gravidanza per un problema ad una mano (comunque a quell’ epoca gestazionale non sarebbe nemmeno consentito dalla legge), ma è diritto di ogni madre che si sottoponga ad un esame sapere quel che ne risulta.
Per questa ragione ritengo fondamentale il ruolo dell’ Associazione, punto di riferimento per tutti coloro che sbattono all’ improvviso contro il muro di una malattia rara, di cui si sa pochissimo e di cui su internet si trova scritto di tutto: noi ci siamo buttati sulla rete immediatamente dopo la diagnosi a Modena e oltre al sito dell’ Associazione ne abbiamo trovati altri che davano per lo più informazioni mediche, anche sui possibili rimedi. Uno dei siti americani spiegava che in alcuni rarissimi casi è stata riscontrata la presenza sui casi di SdP anche di leucemia e linfoma non-Hodgkin. Ci siamo spaventati a morte e precipitati a scrivere un messaggio ad Eva e a telefonare al medico per delucidazioni e per essere tranquillizzati, cosa che fortunatamente hanno fatto. Sia le informazioni generali, sia quelle in tempo reale, sia la possibilità di una giornata di day hospital gratuito con un’ équipe specializzata, sono veramente fondamentali per chi, come noi, si trova a dover affrontare esperienze nuove a cui non si è mai preparati.
Sono passati ormai dieci mesi, il bimbo è stupendo come il primo, e i problemi che prima sembravano insormontabili sono diventati situazioni da gestire con serenità nel modo migliore, consapevoli che avrà una vita normale e felice come tutti gli altri bambini.
A tutte le famiglie che dovessero trovarsi nelle nostre stesse condizioni auguro di rimanere uniti come lo siamo stati noi e di essere forti anche e soprattutto per i propri figli.