(Storie dal laboratorio di scrittura autocreativa, condotto da Social.Net)
Gli era sempre piaciuto correre durante le calde serate estive quando il sole stanco si ritirava alle sue spalle per un semplice motivo: non era mai solo.
Infatti, sempre un passo davanti a lui, c’era la sua ombra che lo sollecitava ad aumentare il passo nel vano tentativo di raggiungerla; anche andare a scuola gli era sempre piaciuto perché di mattina la sua ombra lo seguiva cadendo leggera sulle sue orme come il lungo mantello di un supereroe. Questa strana figura scura era speciale, o almeno così pensava, in quanto gli era sempre accanto per suggerirgli che non conveniva mangiare quello strano polpettone servito a mensa o che era meglio ascoltare la nonna e avvolgere la sciarpa di lana bianca fin sulla punta del naso che era diventato rosso per il freddo. E così, uniti da un legame celato nel buio, il loro rapporto divenne sempre più stretto tant’è che alla domanda “Ma ce l’hai qualche amichetto?” la risposta era sempre la stessa “Sì, ho la mia ombra” e, anche se si trovava davanti a volti assai perplessi, la convinzione che quell’amicizia fosse vera non veniva mai a mancare.
Con il passare del tempo però la sagoma buia iniziò a cambiare diventando più scura e ingrandendosi a vista d’occhio, al contrario di lui che si faceva sempre più piccolo. Anche se nera come la pece, l’ombra era sempre speciale, ma leggermente diversa da prima perché continuava a ripetere le stesse frasi come “Non indossare la maglia a fiori altrimenti finisce come l’altro giorno in cui tutti ridevano di te” oppure “Ma cosa fai? La danza è uno sport da ragazze, lo dicono sempre i tuoi amici! Meglio se vai a prendere il pallone. Dai forza vai!” o ancora “Suvvia mangia un altro panino che sei sottile come tua sorella! Non vorrai mica essere scambiato ancora per una bambina?”.
Avvenne poi che l’unico momento di pace in cui riusciva a respirare a pieni polmoni senza essere schiacciato da quella figura, divenuta quasi troppo pesante da sopportare, era quando si guardava allo specchio intento a stendere sulle sottili labbra il rossetto rubato alla madre. Era proprio durante quei piccoli attimi di sollievo che si sentiva libero e, anche se vedeva l’ombra riflessa, questa era meno scura e più amichevole, proprio come una volta; infatti quella debole figura che lo guardava attraverso lo specchio sembrava apprezzare il nuovo colore delle sue labbra, anche se c’erano alcune sbavature qua e là, e alzava le esili braccia in segno di approvazione proprio come quando la scelta ricadeva sul succo alla mela al posto di quello all’arancia. Appena distoglieva lo sguardo però avvertiva nuovamente l’ombra sempre più appesantita dai pregiudizi delle altre persone e dalle sensazioni di solitudine e diversità che lo opprimevano ogni giorno fino a farlo sentire sbagliato.
Durante un’umida giornata estiva, una di quelle in cui si ha solo voglia di stare sdraiati sul letto ad oziare con un bicchiere di acqua e ghiaccio sul comodino, si ritrovò costretto ad accompagnare la madre a fare compere e mentre curiosava in disparte tra le gonne colorate esposte in vetrina, decise di infilarne furtivamente una nello zaino. Tornando a casa era così agitato che scese dalla macchina prima ancora che si fermasse del tutto e si precipitò in camera chiudendosi la porta alle spalle girando bene la chiave; una volta indossata, con le mani che tremavano per la felicità, aprì l’anta dell’armadio in cui c’era lo specchio e ammirò quella sgargiante gonna rossa tutta svolazzante e leggera. Leggera proprio come si sentiva lui.
Bastarono pochi attimi però per capire il perché di tanta leggerezza, nello specchio infatti non vedeva la sua ombra riflessa e, voltatosi di scatto per controllare se si fosse nascosta dietro di lui, capì di essere solo. Angosciato da questo improvviso senso di vuoto decise di correre, e lo fece come mai prima d’ora, senza sentire quasi più i piedi toccare il terreno, ma era tutto inutile perché accanto a lui non correva nulla. Ormai sfinito raggiunse la cima di una collinetta e, osservando le dorate distese di grano diventare sempre più infinite, si accasciò accanto ad un’imponente quercia secolare abbandonandosi al sonno. Piano piano poi trovò la forza di alzare le deboli palpebre e quando le aprì completamente era appena sceso il crepuscolo e tutto quello che lo circondava aveva una strana sfumatura blu. Le spighe di grano sembravano fondersi con le proprie sagome scure, i rami della grossa quercia si intrecciavano con le loro ombre e, proprio accanto a lui, timida e appena visibile, c’era la sua.
Da quel giorno si sentì libero di fare ciò che gli piaceva veramente come uscire per strada indossando la svolazzante gonna rossa, pettinarsi i capelli ormai lunghi stringendo la spazzola con le dita incrociate a quelle dell’ombra oppure danzare con la compagnia di quella strana figura che, come nella corsa, stava sempre un passo davanti a lui. Finalmente il legame che era divenuto sottile come un filo nero cominciò a ricresce e, dopo averlo oppresso per tanto tempo, l’ombra tornò ad essergli amica; l’odio irragionevole, i falsi pregiudizi, gli sguardi indignati, le risate nascoste e tutte le altre infime cattiverie di cui era circondato erano state scaricate in quella sagoma buia che non era più il mantello da supereroe di una volta ma una gabbia invalicabile. Per quanto però potesse essere pesante tutto ciò, comprese quanto fosse importante essere amico con se stesso accettandosi e liberandosi finalmente dell’enorme sagoma scura che lo sovrastava perché decidere chi essere, cosa fare o chi amare in fondo è come scegliere se bere un succo alla mela o all’arancia e dipende solo da noi e dalla nostra ombra.