Sono Davide, ho 22 anni e ho la Sindrome di Poland. A dire la verità devo quasi sforzarmi per definirmi un portatore, perché a ormai 6 anni da un’operazione che mi ha cambiato la vita, mi sento così sereno con me stesso che il ricordo dei miei momenti di sconforto e solitudine ormai riposano indisturbati nella memoria di un passato a me lontano. Inoltre il volontariato che faccio nell’AISP da circa un anno mi ha permesso di liberare in energie positive tutto ciò che la SdP è stata per me Cercherò nonostante ciò di ricostruire a grandi linee la mia storia.
Fin da piccolissimo ( circa 3 anni ) mi è stata diagnosticata la SdP, indicata a mia madre come una malattia rara che mi imponeva fisioterapia e sport per migliorare la mia postura. In questo primo periodo della vita ( l’infanzia ) non ho mai realizzato nulla riguardo il mio problema, anche perché limitandosi alla mancanza del pettorale destro i problemi estetici sono nati con l’inizio dello sviluppo muscolare, intorno ai 12 anni.
All’inizio dell’adolescenza, quando ero più un bimbo che un ometto, provavo solo vergogna nel mostrarmi davanti agli altri, ad es. nello spogliatoio della palestra dove facevo basket, probabilmente dopo il commento di qualche curioso. Ma successivamente, già verso la terza media, ho iniziato a vivere la mia condizione come una vera tragedia. Non riuscivo assolutamente ad accettarmi, ad accettare il mio aspetto, ad accettare l’idea di essere l’unico sfortunato sulla terra ad essere nato in quel modo.
Perché io?!?
Che cosa avevo mai fatto di male per meritare questo?!? E se non mi piacevo io ( pensavo ) figuriamoci gli altri!! Insomma travolto dal caos mentale di un ragazzino di 13-14 anni le paranoie erano la prassi. Ma questo solo nei momenti di più acuta riflessione, che spesso per gli adolescenti consistono in alcune ore al giorno chiusi in bagno a contemplarsi . Durante il resto della mia giornata sono sempre stato un ragazzo aperto e intraprendente, e ho sempre condiviso insieme agli altri un sacco di bei momenti. Chiaramente il problema mi ripiombava addosso periodicamente con il presentarsi dell’estate.
Più il tempo passava, più l’argomento diventava tabù anche con i miei genitori (due veri santi in particolare mamma). Tendevo a tenermi sempre più alla larga dalle spiagge, dove, nonostante avessi al mare una compagnia di amici d’infanzia, mi presentavo rigorosamente in maglietta. Durante tutto questo mio incubo non ho mai saputo dell’esistenza di un’associazione legata alla mia sindrome. Infatti quando iniziai a dire ai miei genitori che volevo assolutamente trovare un modo per rimediare a livello estetico al mio problema, il che comportava inevitabilmente un intervento chirurgico, iniziammo a girare un po’ di medici e ospedali, ricevendo le più assurde e cruente risposte, roba da trauma infantile assicurato. Ricordo un medico che descrisse davanti a me il tipo di intervento che si poteva tentare, ma un tentativo comunque rischioso e del tutto sperimentale, disse. Un altro disse che non aveva mai visto nulla del genere e che non era possibile fare nulla. Insomma più che una via di uscita sembravano una ulteriore tortura psicologica.
Per me una luce si è accesa definitivamente il giorno che mia madre mi disse che aveva trovato su internet un’associazione legata alla mia sindrome e che esisteva la possibilità di fare un intervento chirurgico. Da quel momento mi sono subito sentito meglio, avevo solo 15 anni quando l’ho saputo, non avevo idea del tipo di operazione da fare ecc.. ma sapevo che esisteva una soluzione al mio problema e la cosa mi restituiva finalmente il respiro.
Quell’estate non sono andato al mare, ma ero molto meno stressato degli altri anni, perché sapevo che c’era una via d’uscita. Dopo un annetto di attesa e un paio di visite a Pisa arriva il momento dell’operazione: trasposizione del dorsale. Non avevo idea di cosa significasse realmente, tuttora mi colpisce l’incoscienza con cui ho affrontato l’intervento, ma è secondo me la giusta incoscienza di chi guarda solo a dove vuole arrivare, e corre come un disperato, senza preoccuparsi della possibilità di inciampare, per questo fortunatamente esistono le mamme e i papà. L’intervento è stato tosto, più di quanto mi aspettassi? Non mi aspettavo nulla, e questo mi ha permesso di non farmi paranoie al riguardo. Comunque un paio di estati dopo l’operazione, estati in cui ancora stavo attento a cercare di far notare il meno possibili delle eventuali differenze, ho imparato a capire che gli unici ad accorgersi delle nostre imperfezioni siamo noi, e se ci andiamo bene così come siamo, andrà bene a tutti.
E’ stata sicuramente determinante la prima vacanza fatta con i miei compagni di scuola, organizzata proprio la prima estate dopo la mia operazione. Dopo alcuni giorni di mare mi confidai con alcuni miei amici raccontandogli quello che fino ad allora era il mio segreto e loro mi giurarono di non essersi accorti di nulla, facendomi capire che per davvero agli occhi degli altri non avevo più nulla che non andasse, erano solo i miei di occhi che si dovevano abituare al cambiamento. Per concludere il mio cammino non posso non ricordare il giorno che ho incontrato per la prima volta i ragazzi dello Staff Junior. Avevo 18 anni, quindi erano passati 2 anni dal mio intervento, e dopo aver voluto chiudere in ogni modo il capitolo Poland dalla mia vita, sentivo il bisogno di andare a curiosare su quel che faceva questa associazione che mi aveva messo in contatto con i medici giusti, le persone giuste e aveva fatto molto per me. Così andai ad un convegno a Montecatini, trovai subito un clima accogliente, tante persone gentili, un sacco di informazioni scientifiche interessanti, e la possibilità di farmi controllare dai medici. Oltre a tutto questo, con mia grande sorpresa mi fecero andare in una stanza dove, mi dissero, dei ragazzi stavano facendo delle attività, ed ecco che per la prima volta vidi un gruppo di ragazzi, allora più che altro ragazzini, che insieme ad un educatore programmavano una piccola recita ed altri progetti.. la cosa mi colpì molto, vedere dei ragazzi più o meno della stessa età e con un problema in comune che avevano la possibilità di stare insieme e confrontarsi mi sembrava fantastico, era qualcosa che io non avevo neppure mai immaginato, ma che mi sarebbe sicuramente servito tanto. I ragazzi mi hanno subito accolto calorosamente, abbiamo passato insieme il week-end del convegno, e recentemente ci siamo ritrovati per diversi progetti dell’associazione.
Ecco qui la mia storia, mi sono dilungato più di quello che mi aspettavo. Riguardo la Poland avrei ancora tante cose da raccontare, ma fortunatamente quelle cose non sono più solo la mia storia, ma la nostra, della grande famiglia che è questa bella associazione, e sicuramente ci saranno altre occasioni per raccontarle.